A cura di Luana Martino
Lo si dice ogni anno, magari sussurrandolo tra colleghi mentre si torna verso casa, tra una redazione e un’altra: chiamarla “Design Week” è quasi riduttivo. Perché in realtà è un vortice, un’esperienza totalizzante che travolge e conquista. Gli eventi, le installazioni, gli showroom: tutto sembra voler attirare l’attenzione, sorprenderci, raccontarci qualcosa di nuovo. E Milano, in quei giorni, si trasforma completamente: smette di essere la città che conosciamo per diventare un palcoscenico internazionale, vibrante, pieno di stimoli.
Sì, si corre. E tanto. Ma è una corsa fatta di scoperta, di meraviglia, di incontri imprevisti. C’è chi si lascia affascinare dai distretti storici – Brera, Porta Venezia, Cinque Vie – e chi invece parte alla conquista della periferia, tra le atmosfere uniche di Tortona o il fascino ritrovato di Villa Borsani ad Alcova.
E alla fine, anche se si ha sempre la sensazione di aver visto meno di quanto si volesse, resta qualcosa di profondo. Un’impressione viva, un’ispirazione, una connessione. Resta il ricordo di una settimana che è molto più di una semplice somma di eventi. E noi, come ogni anno, siamo pronti a raccontarvela.
DI MONDI E DIMORE CONNESSE
È il macrotema dell’anno, se ne parlerà anche in Biennale: il design inteso come disciplina ispiratrice di cooperazione e unità, permeabile alle contaminazioni, promotrice di innovazioni tecnologiche e di sostenibilità, la tecnica che riscrive le regole dell’abitare e del vivere.
Le connessioni realizzabili sono infinite, ma sempre plasmate sulle esigenze umane. L’esigenza di fuga ad esempio, di rifugio dal caos e dalla frenesia della giungla urbana. Quel bisogno che ci ha portato ad appartarci, a ritrovarci nel giardino nascosto Pippa Bacca, davanti alla tiny house di Muji, realizzata in collaborazione con lo studio francese 5.5: sobrietà e durevolezza, riciclo e impiego di materiali biologici, il tutto fuso nel tipico stile minimalista delle dimore giapponesi.
Una connessione tra il capologuo lombardo e Valbona, in Albania, l’ha creato l’installazione Be Up dell’architetto toscano Simone Micheli, un “portale” in metallo, rivestito con coils in acciaio Cor-Ten, che trasporta il visitatore direttamente in quota, dove sorgerà il villaggio turistico di 12 ettari da lui ideato.
L’abbiamo attraversato, accompagnati dai suoni creati dai ragazzi del corso di Sound Design in Nuovi Media Musicali di Italian Design Institute, assaporando atmosfere lontane e rigeneranti, almeno per i pochi metri del lastricato in gres.
Di ispirazione totalmente diversa la casa immaginaria realizzata da Dimorestudio per Loro Piana, che ci ha riportato nel passato con la sua atmosfera sofisticata. La Prima Notte di Quiete, come il film di Zurlini del ’72 che viene qui proiettato, ci ha accolto in uno spazio elegante ed intimo, rassicurante e armonico, un tempio di calma foderato in materiali naturali quali lana e sisal. La selezione dei materiali è infatti ora elemento narrante, non più di contorno, di ogni progetto. Un po’ ovunque in giro per i distretti, le superfici curve e il vetro lavorato con precisione ci hanno parlato di un design che sa dialogare con il passato, ma che è assolutamente proiettato verso il futuro.
TANTO SPAZIO AL LIGHT DESIGN
Della capacità della luce di riempire gli spazi, di fessurare le crepe, ne cantava già Leonard Cohen in Anthem. Quest’anno si è voluto celebrare il suo ruolo nel design, il suo potere di scolpire gli ambienti in cui viene adoperata. Se ne è discusso in un talk apposito, svoltosi nell’arena lignea Forest of Space di Sou Fujimoto. Naturalmente però a far parlare di sè è stata soprattutto la creazione della poliedrica Es Devlin, quella Library of Light che è diventata emblema della kermesse: oltre 2.000 libri scritti da donne in un anfiteatro girevole nel cuore della Pinacoteca. Un’atmosfera sospesa che è anche un invito a
riscoprire la parte meno razionale di sé, quella in grado di commuoversi e di elevarsi grazie all’immaginazione, di risuonare insieme alla sensabilità degli altri lettori.
Anche Google ha voluto dire la sua sull’argomento e l’ha fatto con l’installazione Making the Invisibile Visible, che ha popolato l’oscurità del Garage 21 con pilastri di luce in grado di mutare forma al passare dei visitatori.
E AL SURRE(AI)LISMO
L’intelligenza artificiale, odi et amo, ma sempre in grado di incuriosire con i suoi impieghi. Ne abbiamo avuto un assaggio in Piazza Gae Aulenti, all’ombra di un’impalcatura proiettata verso il cielo come un totem post-industriale. Lo studio Evastomper, insieme al neurobiologo Stefano Mancuso, ha costruito una sorta di “scala per salire nel pensiero”, in cui ogni singolo gradino rappresenta un passaggio tra mondi sensoriali. L’hanno chiamata Portanuova Vertical Connection, struttura rigorosamente a impatto zero, e l’hanno concepita in modo che ogni ascesa fosse personalizzata. Degli schermi interattivi ci hanno scrutato ad ogni passo, restituendo immagini e suoni su misura. Qualcuno ha proposto di salire più volte, in giorni diversi, per monitorarne il responso.
Zanellato/Bortotto hanno firmato Orizzonti, un’installazione fatta di superfici che raccontano storie al Brera Design Apartment. Tessuti, ceramiche, dettagli in ottone: il tutto dialogante con algoritmi capaci di suggerire pattern e sfumature ispirati ai paesaggi italiani, ma generati digitalmente.
L’effetto? Come guardare un tramonto che non esiste, ma che ti sembra familiare.
Nel campo del surreale però non tutto è stato creato in collaborazione con la macchina, per rispettare la volontà di non prendersi troppo sul serio. Come le opere di Seletti, che con la sua lampada Hotel Voyeur ha portato l’ironia nell’arredamento, rompendo le convenzioni e spingendo i confini del design.
L’artigianato ha trovato la sua massima espressione in pezzi unici, dove la ceramica dipinta a mano e il ricamo su legno si sono fatti portavoce di una tradizione che non rinuncia all’innovazione.
ALLA FINE DELLA FIERA
Resta quello che sempre rimane: la convinzione che l’esposizione meneghina continui ad essere un unicum nel panorama internazionale. La percezione netta del fatto che il sostrato italiano abbia ancora molto da raccontare e da ispirare per i designer nostrani e per quelli internazionali. Lo conferma il fatto che i migliori del mondo si ritrovano qui ogni anno a popolare le strade di questa città. E il tempo è sempre poco a Milano. I cantieri della City Life e dello Scalo di Porta Romana, dove non abbiamo potuto non curiosare, già preparano le prossime meraviglie per stupire il pubblico delle Olimpiadi invernali.
Delle firme ve ne citiamo solo alcune, da Renzo Piano a David Chipperfield.