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Marcello Ziliani è un designer bresciano. In realtà, dire di lui che è un designer è forse relegarlo a una sola dimensione, mentre Marcello è abituato, dall’inizio della sua carriera, a spaziare tra arte, scenografia, comunicazione visiva. Anzi, non possiamo neanche dire che è “abituato”, perché per lui abitudine è un concetto stretto, quanto è meglio approdare e attraversare territori sempre nuovi per sperimentare, arricchirsi, ripensarsi.
Da poco insignito di due Good Design Award, il Chicago Athenaeum, l’Archiproducts Design Award ADA 2018 e l’Iconic Award 2019 assegnato dal German Design Council, Marcello Ziliani è docente del laboratorio di design prodotto del terzo anno del corso di laurea in disegno industriale all’Università di San Marino e sua è la firma di tanti progetti per brand importanti (Alf Dafrè, Allibert, BBB, Bertocci, Calligaris, Casprini, Ciacci, Ciatti, Crassevig, Domitalia, Donati, Ethimo, Flex, Flou, Flos, Frascio, Geuther, Inglesina, Infiniti, ISA, Krios, Krover, Lanzini, Magis, Modo e Modo, Norda, Olympia, OMP, Opinion Ciatti, Pali, Parri, Pedrali, Pinti Inox, Progetti, Rapsel, Roche Bobois, Scab Design, Schönhuber Franchi, Sintesi, Techimpex, Vanini, Views International, Visentin, Wever & Ducrè, Zago).
Ma a voler raccontare davvero di lui, diremo che “non ama gli assolutismi e le sicurezze incrollabili, che gli piace parlare piano e soprattutto ascoltare, fermamente convinto che qualsiasi progetto sia, in fondo, un desiderio, una speranza di volo”.
Questa sua straordinaria capacità di mettersi all’ascolto e questo suo riuscire a cambiar pelle senza cambiare anima, ad interpretare il cambiamento senza subirlo, ci ha subito incuriosito ed ecco di seguito la nostra “chiacchierata”.

ziliani-designlifestyle-2 Ha lavorato per diversi settori, dall’arredamento al complemento, dell’illuminazione all’ufficio, oggettistica, prima infanzia, e poi allestimenti, scenografie teatrali e tanto altro… qual è la dimensione nella quale si trova più a suo agio e che la entusiasma di più?
È molto difficile dare una risposta. In genere la dimensione nella quale ci si sente più a proprio agio è quella che si è abituati a frequentare regolarmente, la confort zone nella quale si ritrovano abitudini e certezze. Ma questo per un progettista è ovviamente qualcosa di molto pericoloso perché può condurre alla perdita di stimoli e alla ripetizione di sé stessi… È quindi quello che non si è ancora fatto (o che non si fa da un po’ di tempo) che costituisce la dimensione che preferisco, scoprire nuovi ambiti e nuovi territori, provare il brivido dell’incognita, del “ma sarò capace?”. Poi è chiaro che continui anche a fare seggioline o lampade, e con quelle mangi e per fortuna ti diverti anche. Una sorta di Indiana Jones a caccia di tesori perduti… nel giardino di casa. Al di là delle battute credo che la situazione che stiamo vivendo obbligherà tutti ad addentrarsi in territori inesplorati, dovremo confrontarci con una realtà che sarà probabilmente molto diversa da quella cui siamo abituati, anche professionalmente, e l’aver quindi sviluppato strumenti flessibili e capacità di adattamento sarà un ottimo strumento per affrontare positivamente il futuro prossimo.

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KILT LOUNGE – poltroncina outdoor – Ethimo

La sua attenzione agli aspetti della sostenibilità, del “human-centered design” e della “producibilità agile”. Da dove nascono e a quali riflessioni l’hanno portata negli anni?
La posizione del progettista, se vissuta consapevolmente, è sicuramente una posizione privilegiata per percepire e poi approfondire aspetti significativi della nostra contemporaneità. E ancor di più se si ha la fortuna e il privilegio di poterlo fare frequentando un acceleratore di ricerca e sperimentazione quale può essere oggi una università di design. I tre mesi all’anno che ritaglio all’interno della mia attività professionale per confrontarmi con i ragazzi del terzo anno alla facoltà di design di San Marino sono sicuramente molto faticosi in termini di impegno, trasferte e tempo dedicato, ma insostituibili per le possibilità di affrontare ed esplorare temi come appunto la sostenibilità, lo human center design, la producibilità agile, il behavioural design, il design thinking, il design sistemico etc. La cosa che più mi ha colpito in questi ultimi anni è quanto sia pesante il volano che bisogna cominciare a far girare perché le cose inizino davvero a cambiare (e migliorare, si spera). Io insegno, cerco di applicare quando progetto e praticare nella vita quotidiana i principi della sostenibilità davvero da tantissimo tempo ma mi rendo conto quanto c’è voluto perché questi concetti cominciassero a passare dall’essere considerati discorsi da intellettuali a spunti per comportamenti quantomeno da iniziare a valutare. La responsabilità di noi progettisti in questo senso è fondamentale.

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LISA LOUNGE – poltroncina con pouf – Scab Design

Cos’è per lei il Design e quale ruolo dovrebbe avere oggi?
Vale quanto sopra, design per me è, ed è sempre stato, progetto ovvero strumento per risolvere problemi, per dare risposte concrete a domande correttamente formulate, quali esse siano. E credo che stiamo attraversando un momento in cui questo approccio aperto e “multidisciplinare” sia più che mai necessario e imprescindibile. Siamo di fronte a sfide che mai ci saremmo immaginati di dover affrontare, il Coronavirus e il dopo Coronavirus sono certamente quelle più urgenti ma non sono scollegate da quella dei cambiamenti climatici, dell’esaurimento delle risorse, dell’evoluzione delle modalità di lavoro tanto per fare qualche esempio. Essere protagonisti attivi e consapevoli di tutto questo, senza necessariamente avere la presunzione di poter risolvere da soli i diversi problemi ma affrontandoli con umiltà e quindi con risposte inevitabilmente parziali, “omeopatiche”, pezzo dopo pezzo, ecco, questo credo che sia il ruolo che il design dovrebbe avere oggi e più che mai domani.

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REVER DINING lampada da tavolo ricaricabile – Wever & Ducré

In che modo, secondo lei, questo momento storico influirà sul modo di concepire gli spazi?
Credo che l’abitare sarà inevitabilmente, dopo il passaggio di questo tsunami mondiale, oggetto di una profonda revisione dei fondamentali che lo hanno caratterizzato fino a qui. Ho appena letto su Dezeen un articolo molto interessante di Sergey Makhno che affronta proprio queste tematiche, identificando una serie di significativi cambiamenti che potrebbero essere indotti nella vita del dopo Covid-19. Moltissimi di noi stanno facendo per esempio i conti con l’esperienza del lavoro da casa, i nostri figli stanno “frequentando” la scuola in streaming. E gli spazi si rivelano inevitabilmente inadeguati a queste nuove situazioni, che non è escluso che in alcuni casi possano diventare permanenti o semi-permanenti. Ma le esigenze di concentrazione e privacy collidono con ambienti concepiti per altri usi, la sedia e il tavolo da cucina non sono certo gli strumenti ideali per svolgere attività lavorative per lungo tempo…

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SNOOZE – pannello fonoassorbente sfoderabile – Pedrali

Allo stesso tempo la vita all’interno di grandi complessi abitativi ha rivelato da una parte profondi limiti a causa degli inevitabili contatti e occasioni di contaminazione, vedi ascensori e spazi comuni, ma allo stesso tempo, quantomeno in Italia, inaspettati valori in termini di strumento per combattere solitudini e isolamento, così come per favorire supporto reciproco.
Mai come oggi ci riteniamo fortunati se disponiamo di un giardino, di una terrazza o almeno di un balcone sul quale poter prendere una boccata di aria fresca, ma c’è chi sta già ipotizzando di dotare gli spazi futuri di efficienti sistemi di filtraggio e depurazione dell’aria, così come di generazione di energia e depurazione dell’acqua fino alla creazione di sistemi domestici per la coltivazione di ortaggi, o addirittura allevamento di animali da cortile, sorta di bunker autosufficienti e protetti da un esterno ostile. Ritornano alla mente i romanzi cyberpunk di Gibson, Sterling, Stephenson e i loro mondi distopici non così lontani dalla realtà che stiamo vivendo.

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TWIST & LIGHT – lampada/libreria – Natevo (Flou)

Il progetto a cui è più legato e quello a cui sta per lavorare…
Non chiedere a una mamma a quale figlio è più legata, “Ogni scarrafone è bello a mamma soja” e io di scarrafoni ne ho fatti un bel po’… Sto iniziando a lavorare, e spero che quando verrà pubblicata l’intervista la cosa sia già avviata e magari funzionante, a un’idea che ci è venuta in studio (virtuale, via streaming ovviamente) domandandoci che cosa avremmo potuto fare nel nostro piccolo per dare una mano, oltre ovviamente ad assumere comportamenti corretti e rigorosi per evitare la diffusione del virus. E abbiamo immaginato di provare a cercare di dare delle risposte che aiutassero a risolvere i problemi quotidiani, piccoli e frequenti, che ci troviamo a dover affrontare in questa nuova e inaspettata situazione della vita al tempo del Coronavirus. Non cose complicate o fuori della nostra portata, è ovvio che non possiamo risolvere la penuria di mascherine o di respiratori (vedi però quanto hanno fatto i ragazzi di Isinnova in questo senso). Parlo di piccoli problemi quotidiani come fare le spese e avere paura del contagio toccando il carrello che è potenzialmente un grande ricettacolo di virus, essendo toccato da tutti. Basta prendere due o tre tubi in cartone di quelli della carta igienica, unirli con dello scotch (nastro carta così restiamo sostenibili), tagliarli per lungo e avvolgere con questo tubo il manico del carrello che risulta così isolato per tutto il tempo della spesa. Poi gettiamo tutto nella differenziata carta. Ecco, stiamo organizzandoci per mettere in piedi un sistema che inviti le persone a segnalare questi piccoli disagi quotidiani per provare poi a dare risposte tipo quella sopra, realizzabili da chiunque senza difficoltà riuscendo magari anche a sconfiggere la noia che in questo momento sembra essere un problema non secondario. Vedremo se ci riusciamo sperando che possa essere utile.

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