a cura di Alessandra Savino
Che alle donne dell’alta società piacesse ricoprirsi di un manto animalier già nel XVIII secolo, lo dimostra il dipinto “Madame Bergeret de Frouville as Diana” attribuito a Jean Marc Nattier. Ritratta, nel 1756, da colui che fu nominato pittore di corte da Luigi XV, la nobildonna che appare in quest’opera sfoggia un drappeggio maculato annodato in vita. L’artista era, infatti, solito vestire i personaggi femminili dell’aristocrazia francese di elementi tratti dal mondo animale con l’intento di elevare il loro status a quello di divinità. E proiettare al di fuori della dimensione quotidiana la donna e l’ambiente in cui essa vive è stato, negli ultimi decenni, l’obiettivo di moda e design. Un obiettivo raggiunto attraverso l’incursione di fantasie zebrate, tigrate o maculate, tanto nel mondo dell’haute couture quanto nell’arredamento di interni.
Oggi si parla di tendenza animalier ma, nell’antica Grecia, era il termine ‘zoote’ ad identificare indumenti ispirati al vello di animali veloci, come i grandi felini, indossati in segno di supremazia e potere. Valore spirituale avevano, invece, le stampe maculate, emblema della sacralità dei felini, per i sacerdoti egiziani. Se, dunque, in origine il richiamo al manto animale era legato alla sfera religiosa o politica, col trascorrere del tempo ha fatto il suo ingresso anche nel mondo del fashion. È accaduto a Parigi nel 1947, anno in cui Christian Dior, in
collaborazione con il produttore di seta Bianchini-Férier, crea un inedito chiffon stampato a macchie di leopardo. Da quest’esotica fantasia nascono due iconici capi firmati dal celebre stilista francese: il trench Jungle e l’abito Africaine. Fu solo l’inizio della lunga storia d’amore tra l’animalier e la moda, liaison che negli anni Cinquanta si consolida grazie al contributo di couturier come Hubert de Givenchy.
Tra i suoi accessori memorabili si ricorda lo sfizioso cappello maculato che adornava il capo di Audrey Hepburn nel film “Sciarada”. Gli appassionati della Settima Arte non potranno dimenticare neanche il manicotto di pelliccia e la mantella animalier sfoggiati da Marilyn Monroe, nel 1953, in “Gli uomini preferiscono le bionde”. Il merito di aver lanciato un’intera collezione di abiti animalier va, però, riconosciuto ad Yves Saint Laurent che, agli inizi degli anni Sessanta, porta in passerella un universo selvaggio, perfetto habitat per una donna audace. In tanti hanno seguito le sue orme scrivendo nuovi capitoli della storia dell’animalier, da Valentino, soprannominato “Re della giungla della moda”, a Gianni Versace, che introduce stampe maculate anche nel guardaroba maschile. Determinante e rivoluzionario è poi il ruolo di colui che è considerato lo stilista per eccellenza del jungle core, la cui recente scomparsa ha lasciato un grande vuoto nell’haute couture: Roberto Cavalli. Inizia a dar vita alla propria identità, che vede nello wild style il suo punto di forza, negli anni Settanta proponendo la stampa ghepardo, seguita da quella zebrata nel ’99, nonché dalla fantasia farfalla nel 2006. Per lo stilista fiorentino l’animalier non era un semplice vezzo ma un vero manifesto di woman empowerment, oltre che un modus vivendi che strizza l’occhio alla natura più selvaggia.
Così, cuscini, poltrone e tavolini che richiamano il manto di zebre e grandi felini approdano, nel 2020, in salotti e soggiorni grazie al progetto The Wild Living firmato da Roberto Cavalli Home Interiors. Un trend del design di interni che, negli ultimi anni, è stato riconfermato da menti creative come Andrey Budko che al Salone Satellite del 2021 ha presentato una collezione di tappeti con una rinnovata e personale visione di stampa leopardo. A popolare le moderne giungle domestiche sono, oggi, anche le creazioni proposte da Imperfetto Lab, tra cui spicca
la lampada da parete “Circus” ispirata alla figura leone. Complementi d’arredo che, aggiungendo un tocco esotico, puntano ad animare salotti ed uffici dallo stile minimal. Fa da padrone, nelle case degli amanti dello wilde style, il pouf: pitonato, zebrato o tigrato contribuisce a creare atmosfere ben lontane dalla caotica vita cittadina. L’animalier, dunque, diviene strumento d’evasione dal quotidiano, unica via di fuga da una società in cui la natura sembra trovare sempre meno spazio.