marc sadler design lifestyle

La versatilità di un genio del design.

“Il design è dappertutto. Non ci sono limiti, e a me interessano tutti gli ambiti”.

Nonostante la notorietà, il successo acquisito in oltre trent’anni di progetti, Marc Sadler ha ancora voglia di lasciare il segno. È uno dei designer più conosciuti al mondo, ha rivoluzionato la maniera di sciare, grazie alla realizzazione del primo scarpone in termoplastico totalmente riciclabile. Un’idea, nata agli inizi degli anni ‘70, proprio dopo un incidente sugli sci che costò a Sadler una brutta frattura alla caviglia. Ma la voglia di tornare a fare sport lo portò a sperimentare un sistema di sicurezza che tenesse ferme le caviglie, ed è lo stesso che piacque anche all’azienda italiana Caber, conosciuta successivamente come Lotto. Da quel momento fu un susseguirsi di successi, e un’apertura al design in ogni sua forma”.

Sadler, da dove ha origine la sua passione per le materie plastiche?

“Da giovane studente ero incuriosito dal mondo dei polimeri, tanto che nel 1968 è stato materia di studio della mia tesi di laurea. Oggi parlare di plastica ha una connotazione negativa per via del suo impatto sull’ambiente, ma gli oggetti in plastica fanno parte del nostro quotidiano, con vantaggi e benefici innegabili, anche se purtroppo a spese dell’ambiente. Se non biodegradabile, la plastica è però teoricamente riciclabile al 100% perché si rigenera quasi all’infinito (polverizzandosi e ricomponendosi); questo vuol dire che se correttamente smaltita può diventare risorsa. 
Ci vorrebbero degli atteggiamenti politici scomodi: da una parte imporre ai produttori una riduzione degli imballi e dall’altra trovare il modo per imporre ai consumatori il corretto smaltimento dei prodotti”.

Che influenza ha avuto sulla sua carriera il successo dello scarpone da sci in materiale termoplastico?

“Dopo la laurea cominciai a lavorare a Parigi nel campo della moda, collaborando con nomi del prêt à porter molto in voga a quel tempo: Pierre Cardin, Ted Lapidus, Torrente e Yves Saint Laurent profumi.

All’inizio degli anni ’70 un serio incidente sugli sci mi procurò la frattura multipla e scomposta del piede e della caviglia destra. La lunga convalescenza e la voglia di tornare a sciare mi spinsero prima a pensare poi a sviluppare una soluzione per immobilizzare la caviglia all’interno di uno scarpone rigido, riducendo il rischio di conseguenze così nefaste in caso di caduta. Dopo non pochi tentativi (inizialmente condotti anche nel forno di mia mamma), in un epoca in cui gli scarponi da sci erano in cuoio, nasceva il primo scarpone da sci della storia in termoplastico interamente riciclabile (commercializzato poi da Caber, più tardi conosciuta come Lotto).

Al fortunato incontro con Caber seguirono numerose collaborazioni di successo legate al mondo dello sport in Europa, Asia e Giappone, ma soprattutto con grosse multinazionali americane.

Ho vissuto negli USA fino all’inizio degli anni ‘90, quando in seguito alla morte del mio socio a New York decisi di tornare in Italia. Nella necessità e nella voglia di affrontare nuove sfide professionali e personali approcciai il raffinato mondo del design del mobile italiano e milanese, molto diverso dal design dei prodotti di largo consumo venduti a milioni di pezzi in tutto il mondo cui ero abituato.

Il successo dello scarpone da sci ha indubbiamente influenzato la mia vita: senso di esso non sarei venuto in Italia e non avrei fatto il percorso che ho fatto. Forse, senza lo scarpone da sci sarei rimasto a Parigi”.

Al netto dell’esperienza nel settore del design sportivo, resta un appassionato di disegno e pittura. C’è qualche aspetto del design che avrebbe ancora voglia di approfondire?

“L’esperienza con il design sportivo è piuttosto lontana e spero di essere ricordato per qualche contributo al design anche in altri settori. Quanto alla voglia di approfondirne qualche aspetto, dobbiamo ricordarci che viviamo in un mondo imbevuto di design: in casa, nei luoghi di lavoro, nelle città, il design è dappertutto, anche in ciò che indossiamo, sia abbigliamento o tecnologia, non c’è davvero limite all’immaginazione per quelli che possono essere gli ambiti toccati da un designer: a me personalmente interessano tutti”.

Cosa rende Byobu, radiatore disegnato per Antrax IT, differente da qualunque altro termoarredo?

È un termosifone con movimento che si trasforma in complemento d’arredo dinamico e versatile, riscalda l’ambiente e si utilizza anche come scalda salviette. I due componenti che lo costituiscono si muovono attorno a un perno centrale, possono essere posizionati entrambi a destra o a sinistra – creando un unico grande pannello – oppure in modo opposto. Disponibile in molti colori e finiture, ha funzione sia pratica che estetica. Tecnicamente, ha un’elevata capacità che entra a regime molto rapidamente, riducendo i consumi e assicurando un’elevata resa termica. La peculiarità è che è l’unico termosifone con movimento proposto sia con funzionamento ad acqua che elettrico”.

Cosa l’ha portata a scegliere Milano quale base operativa definitiva, nonostante le sue esperienze all’estero?

“Rientrato in Italia dopo la fase americana vivevo a Venezia in un bel palazzo e avevo lo studio poco distante. Nel 1997, invitato dalla Domus Academy a tenere un corso, approdai in via Savona a Milano dove loro avevano da poco traslocato in un’area di oltre 20mila mq, un tempo sede della fabbrica di contatori gas Schlumberger.

Quello che oggi è un nucleo totalmente riconvertito in spazi abitativi e showroom, era allora un complesso industriale semi abbandonato, senza asfalto, con i capannoni fantasma, i binari e ancora i vecchi cancelli antisfondamento costruiti negli anni 70 a difesa delle lotte operaie.

Acquistai uno spazio all’interno della ex fonderia pensando di utilizzarlo come pied-à-terre per i miei passaggi milanesi (per avvicinarmi al mondo del design Made in Italy che ha la sua culla a Milano), poi cominciò a piacermi l’ambiente, dove tanti altri professionisti avevano traslocato per vivere e lavorare. Alla fine mi sono trasferito definitivamente qui, prendendo anche un nuovo spazio a cinquanta metri per farci lo studio. A Milano sto bene e mi sento privilegiato dal fatto di avere casa nel verde e bottega a pochi passi. All’inizio non conoscevo la città e ne subivo i pregiudizi e i luoghi comuni di città grigia, frenetica e inospitale. Invece con il tempo ho scoperto una città ricca di luoghi segreti, di cose da fare e di gente interessante. Nel corso degli anni poi è costantemente migliorata, sino al “grande spolvero” degli ultimi tempi”.

 

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