A ragionare sulla parola “Design”, viene in mente non soltanto la sua etimologia, che riporta a “signum” latino, disegno appunto, ma anche il suo significato inglese, quale progetto, piano, e poi scopo, intenzione, persino complotto.
Insomma, a questa parola sono spesso associate anche idee quali astuzia, inganno e insidia e c’è nel termine stesso una natura diabolica, con concetti dualistici e ossimorici, di bene e di male. Ricorda Vilém Flusser nel suo libro Filosofia del design che “Chiunque decida di diventare designer prende una decisione a sfavore del bene puro”. Per il design il bene puro, il bene in sé non esiste, non può esistere, è un’assurdità, perché “in ultima analisi, tutto ciò che è buono nel caso del bene applicato è cattivo nel caso del bene categorico”.
I concetti di forma e di funzione hanno perso un po’ la loro originaria essenzialità. Oggi non è più possibile pensare al design come ad una disciplina autonoma, isolata, senza pensare alle diverse riflessioni che introduce e alle diverse competenze che essa richiede.
La figura del designer è ormai uscita dall’Olimpo a cui per decenni è stata relegata, per scendere in un’agorà in cui si trovano anche critici, filosofi, teorici della cultura in grado di interrogarsi sulla natura e sulla destinazione delle cose.
Quello che è cambiato è non solo il volto del design ma anche il suo linguaggio, prima appannaggio di pochi esperti facenti parte di una nicchia esclusiva, oggi strumento di comunicazione di figure professionali eclettiche e dalla forte trasversalità.
Il Design è oggi anche arte, letteratura, musica, riflessione sociale, tecnica, tecnologia, politica, etica…
L’oggetto, quale espressione tangibile del design, è frutto di un pensiero anche filosofico, di un approccio alla vita, di una reazione anche rivoluzionaria e disobbediente ad un sistema….è in altre parole “eretico”, nel senso che è frutto di una scelta. Il design è partigiano, perché si schiera, prende posizione, non resta muto, a meno che questo silenzio sia esso stesso frutto di una scelta.
Ironia, spirito critico e pungente, provocazione sono le caratteristiche di un mondo in continua evoluzione e che non smette di parlare al pubblico, di cui si fa specchio, portavoce, condanna o difesa. E nella molteplicità dei significati che lo compongono, il Design predilige gli opposti: pieno/vuoto, femminile/maschile, leggero/pesante, nudo/vestito. Il vero senso delle cose sta nel tutto e nel suo contrario, in accostamenti a tutta prima lontani ed improbabili, insoliti e inattesi, tanto da rivelarsi, poi, geniali, unici.
La funzione narrativa del Design diventa essenziale. Il designer è interprete del suo tempo, vive i suoi ricordi, le sue pulsioni e ispirazioni e la sua creatività traghetta i significati, si fa portavoce di bellezza e di quel sapere talmente superficiale da divenire profondo. Chiamatela pure l’essenzialità dell’inutile.