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Un Design narrativo, in cui storie e mondi fantastici sono la linfa interpretativa di oggetti, “cose”, strumenti.
La quotidianità si veste di leggerezza e di magia con Alessandra Baldereschi, designer milanese dal forte spirito ludico, principale ispirazione creativa dei suoi progetti.

Nominata nel 2010 tra i dieci migliori designer della nuova generazione da AD Spagna, classe 1975, dopo una formazione artistica, consegue il master in Industrial Design alla Domus Academy di Milano, per poi ottenere, nel 2001, una residenza-studio in Giappone dove sviluppa progetti per la tavola in ceramica con aziende del distretto di Gifu.

Al rientro in Italia inizia a collaborare con aziende quali Swatch Bijoux, Fabbian Illuminazione, Moss NY, Dilmos, De Vecchi, Chimento, Coin Casa Design, Seletti, Skitsch e altri marchi, realizzando progetti di illuminazione e arredo.

Tra i suoi lavori, si ricorda la sua serie sperimentale “Bosco”, sedute e tappeti realizzati con foglie e muschi naturali, appartenente alla collezione Dilmos Edizioni.
E poi le sue esposizioni: la Biennale di Saint Etienne, Inside Design Amsterdam, il Design Festival di Seoul e la galleria di Moss a New York. Mentre nel 2007 la sua poltrona “Soufflè” viene selezionata per “Milano Made in Design” a Pechino e Shangai e nel 2009 Li Edelkoort sceglie le sue collezioni per la mostra GLASS al museo DesignHuis di Eindhoven.

alessandra baldereschi design lifestyle 3 Il suo modo di esprimersi, la sua poetica armonica, che contraddistingue ogni suo progetto, il suo ispirarsi a mondi fantastici in cui la natura è protagonista indiscussa, sono la firma di un modo di concepire il design e l’oggetto stesso.

I complementi di arredo e gli strumenti della quotidianità assumono una veste diversa, raccontano una storia e, proprio in quella veste, acquisiscono una identità. La decorazione diventa funzionale, lascia un messaggio, il segno diventa sintesi di un pensiero e di un’emozione che trasuda familiarità e contemporaneità.

Una formazione artistica iniziale e poi un tuffo nell’industrial design: cosa ti hanno lasciato questi due percorsi e come si conciliano nella tua produzione?
Mi hanno lasciato una ricettività per tutto ciò che è capace di entrare in contatto con la mia parte sensibile. Ogni volta che affronto un nuovo progetto, oltre alla funzione dell’oggetto, cerco di rendere visibile anche la parte emotiva.

I viaggi e l’esperienza in Giappone: si può dire che il tuo stile sia eclettico e che si sia nutrito negli anni di questi pezzi di mondo e di cultura?
In Giappone ho imparato che l’estetica è importante quanto la funzione e che la forza può essere espressa con gesti lievi. È un luogo dove tutto ciò che ti circonda è un’espressione di cura e di grazia. Nel “Libro d’ombra” Tanizaki descrive molto bene la cultura giapponese: “ …chi ne sfiori qualche lembo,…,avrà l’impressione che tutto sia orientato da una preoccupazione dominante, che non ha a che fare nè con la religione, nè con la filosofia, nè tanto meno con la storia ma con qualcos’altro che mi azzardo a chiamare:
un’ecologia della sensibilità”. Un’esperienza indimenticabile che mi ha insegnato l’attenzione al dettaglio, la ricerca per la bellezza, per la gioia e la poesia nelle cose di tutti i giorni.

Le forme della natura sono spesso presenti nei tuoi progetti. Che significato assume questa scelta?
La mia è una Natura gentile, che vuole evocare benessere ed armonia. Mi piace suggerire uno scenario, come nel caso del paravento Painting per De Castelli, dove ognuno può immaginare il suo paesaggio dato da un ricordo o da una fantasia. Oppure utilizzo piccoli dettagli naturali per ispirare un luogo, ad esempio nella collezione Greenwood per Ichendorf, alcuni elementi naturali decorano vetri per la tavola. Sono tutti soggetti diversi che, osservati insieme, descrivono una storia del bosco.

In un’intervista hai detto che il tuo maestro è lo scrittore Josè Saramago…perchè?
Perché mi ha aiutato a cogliere e capire molte sfumature dell’animo umano. È uno studioso dell’Uomo e della sua condizione: nella grandiosità, nelle debolezze e nella viltà.
I suoi romanzi, senza luogo e senza tempo, sono simili alle fiabe: parlano direttamente alla parte più intima di noi.

Il progetto che più ti rappresenta, quello a cui sei particolarmente legata?
La collezione di arredi per esterni “Fildefer”, perché ha un immagine immediatamente familiare. Perché contiene qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo insieme. Il tondino di ferro è usato come se fosse la grafite di una matita, un disegno di curve articolate che riproduce l’effetto della classica imbottitura Capitonné. Ho utilizzato la trama del
Capitonnè e l’ho trasformata in una struttura in metallo. È come un deja-vù: qualcosa che conosci insieme a qualcosa di completamente inedito. La decorazione tridimensionale
dona alla collezione un aspetto vagamente surreale e crea un effetto di immaterialità e leggerezza nello spazio.

Raccontaci i progetti a cui stai lavorando…
Da circa un anno seguo la direzione artistica di uno dei più importanti marchi del regalo italiani e vedrete il risultato a partire dal prossimo settembre. Per Le Bebè continua la collaborazione e, dopo aver disegnato le collezioni di camerette, accessori per bimbi, le lampade e il loro show room di Milano, ora stiamo progettando gli altri due show room che inaugureremo a breve in Cina e Qatar. Per il Design quest’anno presentiamo gli ampliamenti delle collezioni Bamboo con AlotofBrasil e quello della famiglia di sedute Donut per Mogg, realizzate ora in “total black”.
Per Ichendorf continua la mia narrazione con i vetri e per il prossimo Maison & Object di Parigi presenteremo due nuove collezioni di oggetti per la tavola.

Un ricordo da bambina che in un certo modo ha segnato il tuo percorso in questo settore?
Mia mamma che costruisce una casa delle bambole con un piccolo scaffale e lo arreda con modellini di mobili realizzati da lei.

Come nasce il tuo processo creativo?
Nasce dalla ricerca sulla parte irrazionale e sensibile: origini dell’oggetto o di quella tipologia, storie antiche, credenze popolari, racconti e ricordi d’infanzia. Diventano materiale utilizzato nel processo creativo. Lavorando con aspetti emozionali o con la memoria, la storia si crea spontaneamente.

Secondo te, cosa dovrebbe raccontare oggi il design? Cosa gli manca e quali sono, invece, le sue potenzialità?
Il design dovrebbe prendersi cura di tutte le cose che ci circondano. Tanti sono i campi inesplorati, per esempio penso all’industria alimentare. Qualche anno fa, durante il
Salone, ho esposto da Rossana Orlandi una collezione realizzata con le erbe aromatiche dal nome “Grandmother Tips”. La collezione esplorava antiche ricette per pulire gli
ambienti con le erbe. Per realizzare il progetto ho contattato tanti produttori italiani di erbe aromatiche e spezie e ho trovato un incredibile interesse perchè il progetto
offriva un potenziale per vendere la amteria prima in altri settori e con altre modalità.

Il libro a cui sei più legata? O un film?
Oceano mare di Baricco: sono innamorata del pittore che dipinge il mare con il mare.

Se non fossi la designer che sei oggi, cosa vorresti fare nella vita?
Vorrei occuparmi di piante e avere una serra.

Qual è l’elemento che non deve mai mancare in ogni tuo progetto?
Una piccola sorpresa, un elemento insolito, talvolta anche solo un colore.

Photo credits: Massimo Gardone

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