Il Comedian fenomeno artistico del 2019 tra polemiche e provocazioni.
Una banana attaccata con un nastro adesivo su una parete ed è già notizia, oltre a una valanga di polemiche e fiumi di parole sui social con tanto di sberleffi e riproposte dell’opera in chiave “variegatamente gastronomica”.
Maurizio Cattelan, si sa, ha una predilezione per le dissacrazioni. Il “suo dito medio” svetta in piazza Affari a Milano in tutto il suo vigore, senza dimenticare il water d’oro o la statua di papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite. Fino ad arrivare al Comedian, la banana appunto, valutata e venduta per 120 mila dollari, presentata, dopo quindici anni di “silenzio” dell’artista, allo stand della galleria Perrotin alla fiera Art Basel Miami che, oltre a ottenere una vasta eco mediatica in tutto il mondo, ha diviso la critica.
Chiamatela arte concettuale o provocazione eccentrica di un artista avvezzo al linguaggio postmoderno: fatto sta che il “Caso Cattelan” ha attraversato in modo dirompente e trasversale tutte le generazioni, le geografie e i media, facendo dire ad ognuno la propria. Alcune autorevoli voci del giornalismo di critica si sono soffermati sull’intento dell’autore della banana di lanciare uno strale sarcastico e provocatorio all’odierno mercato dell’arte, ormai molto più vicino alla commedia che all’espressione nobile delle sue origini, sempre più votata a giri di affari per un target capriccioso, ignorante e benestante.
Una commedia che in realtà ha più risvolti tragici di quanti si immagina, con un’arte che non riesce a staccarsi dal denaro e acquirenti interessati più al valore manifestato
dell’opera che al suo insito significato o messaggio. Un’arte ormai denudata della sua funzione, insomma. E allora, ben si comprende come, dietro il fenomeno dell’anno, di cui tutti ci siamo prima stupiti e poi abbiamo riso, si nasconde, come il sorriso oraziano, un’amarezza che forse si è già sciolta tra i milioni di post sui social network.
Mentre l’unica consolazione sta nel fatto che il ruolo dell’artista, quello autentico e forse cassandra inascoltata di un’epoca che non dà il giusto valore all’arte, continuerà nel suo compito ingrato di reagire al degrado in cui l’essere umano è avvinghiato.
Una riflessione, forse, sull’essere ormai l’arte effimera, perdendosi nei meandri di una rete in cui tutto ciò che è ora è già passato? Chissà… E perchè proprio la banana? Un rimando all’immaginario pop degli anni ‘50 o piuttosto la rappresentazione di un monolite inequivocabile per una umanità “scimmia”, vittima della sua stessa regressione e primitività?
Nel patinato mondo dell’arte, una banana arriva come una pistola puntata al mondo pseudo intellettuale o, secondo altre voci della critica, come un boomerang, giudicando il gesto di Cattelan fatto in una fiera d’arte quasi “fuori luogo”, se l’obiettivo era quello di scuotere la cultura dalle fondamenta.
Certo è, che la banana di Cattelan ha trovato la sua eco migliore nel succedaneo gesto di David Datuna che, mangiandola, ha macinato solo sul suo profilo Instagram 300mila visualizzazioni, venendo ribattezzato come “Hungry Artist”.
Insomma, l’opera in sè ha perso la sua importanza per trasformarsi, forse, in una mega performance da social, intrappolata in una rete più grande, quella della spettacolarizzazione di un gesto.
Eppure preso nella sua essenza, proprio quella spettacolarizzazione rappresenta quasi inequivocabilmente il modo di fare arte di Cattelan, uno spettacolo nello spettacolo, in cui sapientemente il regista conduce noi spettatori più o meno coinvolti, in un mondo che si colora di sfumature diversamente intense, a seconda della nostra sensibilità, della capacità di riflettere, della voglia di andare oltre il semplice apparire. Siamo noi, forse, quella banana attaccata al muro, compressa in uno scotch dal quale potremo liberarci solo se avremo il coraggio di sottrarci alla morsa di una contemporaneità che, diciamocelo, forse comincia a starci stretta.
Nel divario tra l’elitarismo dei collezionisti ultra ricchi e l’estrema semplicità di chi pensa che Ligabue sia solo il cantante rock emiliano, la banana accomuna tutti indistintamente, ammonendoci della natura effimera e della marcibilità del nostro pensiero. Rimane lì, a costringerci ad un confronto con noi stessi forse troppo duro da sopportare, tant’è che, in alcuni casi, è meglio divorare tutto e far sparire le prove.