Mauro Olivieri PH Lido Vannucchi-designlifestyle

Sono passati 35 anni da quando nel 1986 il designer Mauro Olivieri ha aperto a Arma di Taggia il suo studio, uno spazio dove crescono ogni giorno idee e progetti e dove regna la sperimentazione.
La sua innata propensione al progetto, che sia architettonico, di prodotto, di food, di grafica, di comunicazione, di allestimenti, non ha mai subito battute d’arresto. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui.

Come è iniziata la tua attività di designer?
Ho sempre tracciato segni, una vera esigenza, una forma di attaccamento e di partecipazione alla vita quotidiana, attraverso un’idea, un disegno. Potrei definirla una naturale abitudine che regola da sempre il mio tempo e senza sosta scruta e indaga tutto quello che può essere ripensato. Nascono sempre così i miei progetti, dalla necessità di mettere sempre in relazione tutto, agire nel confronto, operare nella ricerca, a volte esasperata, concepire nuovi cambiamenti. Mi sento attratto dal nuovo perché è fautore di libertà anche inattese, quando sembra che tutto sia stato progettato, parto dal creare scompiglio, un disorientamento regolato però da principi, che mi permettono di alzare l’asticella al senso che mi sono dato: immaginare e progettare quello che veramente serve ad aggiungere qualcosa di nuovo alla vita quotidiana di tutti.

Ti autodefinisci un mestierante del disegno, perché?
Non è facile per me autodefinirmi interior designer, product designer, food designer, graphic designer. Mi sono occupato di progetto in tanti ambiti, tutti nell’intento comune di portare una soluzione a un problema, una necessità o a un bisogno anche in apparenza non concreto. Nel mio lavoro sento la responsabilità di pormi come demarcatore di storie e di opere che devono assolutamente essere il più possibile un esercizio oggettivo di valori.

E i tuoi valori coincidono con le richieste dei committenti?
Spesso mi sono chiesto perché in tanti abbiano scelto con molta convinzione proprio me per i loro progetti architettonici o di interior. Con la stessa convinzione con cui io spesso ho demolito le loro granitiche certezze, pseudo bisogni, per intraprendere un percorso che portasse a un progetto unico, uno spazio con una personalità ben precisa, capace di accogliere e di essere nello stesso tempo presenza. Presenza per chi lo abita e presenza nel paesaggio, come il caso della Casa Olistica che ho disegnato e arredato per un cliente a Sanremo. Ho progettato quella casa (ma anche altre) applicando proprio una metodologia del vivere, che è sempre stato il mio approccio. Questo mi ha permesso nel 1998 di avere il piacere di progettare la casa di Benaocaz in Andalusia di Gèrard Gayou, noto critico di design che ha sempre scovato e affiancato giovani talenti, quelli che poi sono diventati Sottsass, Mendini, Stark, Ugo la Pietra, Enzo Mari, Ron Arad e molti altri. Gèrard, che è stato ed è ancora il mio mentore, si è fidato di me, della mia instancabile ricerca della soluzione e dei particolari, poiché lui sostiene che il design è frutto di una maturazione lunga e paziente, di un continuo esercizio per dischiudere i sensi con tutte le proprie energie.

Allora parliamo di sensi…
Non posso ovviamente escluderne nessuno, a cominciare dalla vista che è il primo approccio alla bellezza di cui io ho sempre voglia di fare parte anche senza sapere dove cercarla, trovarla, ma consapevole che standoci dentro sia possibile riconoscerla. E poi la luce. Ho disegnato per 15 anni numerose lampade per Vistosi. Alcune sono ancora in catalogo come Assiba, Baco e WhitWhite. Un’opportunità che mi ha permesso di sperimentare e lavorare con il vetro, un materiale che amo particolarmente e per questo sono orgoglioso di essere il Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico del Museo dell’Arte Vetraria Altarese. Le mie lampade sono vere e proprie “collezioni” composte da elementi per composizioni multiple, sia a sospensione, sia da tavolo sia da terra. Luci che sono presenze, accese o spente che siano.

E poi c’è il gusto, il food design…
La forza del progetto è in grado di creare un piacere profondo per un designer, risveglia il senso del gusto, alimentazione pura per lo spirito e per la propria testa. Il bisogno di mangiare le idee che a loro volta si alimentano con un percorso circolare. Ed è proprio in virtù di questo piacere, ho involontariamente convertito quelli che sarebbero potuti essere i miei studi giovanili in un istituto alberghiero con la progettazione del cibo e di strumenti legati alla sua fruizione. Il mio primo progetto dopo alcuni anni di analisi e ricerca è stato un nuovo formato di pasta che non nasce come un puro esercizio di stile ma per risolvere alcune problematiche e necessità. Si tratta dei Campotti progettati per Il Pastificio dei Campi del Gruppo De Martino, che nel 2010 hanno ricevuto la menzione d’onore del Compasso D’Oro ADI. Un altro progetto a cui sono molto legato è Oliena, uno strumento per la tavola che entra nel panorama delle “macchine-abili”, così come definisco io quegli oggetti che hanno oltre alla loro funzione la forte propensione alla soddisfazione. Si tratta di un esaltatore di olio che ha il ruolo di dare, o meglio ridare, una identità all’olio, all’atto del suo uso. Una sorta di equivalente del decantatore per il vino con la differenza che l’olio non ha bisogno di essere decantato ma di essere “capito” nei suoi valori. Versare l’olio da una bottiglia, spesso scura, non aiuta a capire colore, profumo, densità, profondità, fragranza, intensità. Mancava un oggetto che potesse far emergere queste caratteristiche. La sua forma identitaria e iconica è adatta a scrutare l’olio. Consumarlo versandolo prima in Oliena permette di partecipare alla esperienza di un uso più autentico, godendo di tutti i pregi di un olio. Il “lago” al centro aiuta a percepire il profumo, il colore e la sua densità, il periodo di produzione, il canale di discesa aiuta a capire la viscosità.

L’oliena è un omaggio alla tua terra, la patria dell’oliva taggiasca?
Certo, inoltre per la mia terra, la Valle Argentina, insieme al gruppo dei Food Designer ho sviluppato un sistema/ progetto di Brand dei Sistemi Locali che ha ottenuto il riconoscimento ADI Design Index 2015 con il progetto di Food Design Territory Identity e due anni dopo il Premio Grandesignetico.

Intervista Mauro Olivieri design Lifestyle
Ph. Lido Vannucchi

Dopo questo anno di pandemia, molte piccole aziende stanno avendo delle grandi difficoltà, come designer che consiglio daresti?
Di studiare progetti e prodotti che abbiamo le caratteristiche dell’armonia nella loro totalità: nuovi nella proposta, performanti nella risposta, adatti a costruire una narrazione e la loro comunicazione.

 

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