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Un Maestro tibetano un giorno disegnò per i suoi studenti, sul bianco di una lavagna, il segno stilizzato di un piccolo uccello. Quando chiese ai suoi discepoli cosa fosse, molti di loro risposero “un uccello”, ma il Maestro, continuando a scuotere la testa sorridendo, rispose: “E’ un cielo vasto e in questo momento sta passando un uccello”.
Il concetto di spazio, così come quello di vuoto o pieno, cambiano di importanza se si modifica anche l’angolo di osservazione o l’animo di chi osserva. E il design, come l’arte, è proprio questo o viene fortemente influenzato da questo.
Lungi dall’essere una scienza esatta, il Design è qualcosa di molto più vicino a un’interiorità sommersa, plurima, colma della sua complessità. Una filosofia che risente, a livelli più grandi, del luogo, della cultura, delle tradizioni e della storia di un popolo. Tuttavia, se man mano scendiamo dall’infinitamente grande al piccolo, ci rendiamo presto conto che non esiste progetto, oggetto, disegno, segno che non sia in qualche modo la proiezione di un vissuto del tutto personale, interiore e per questo unico. E che pur essendo il frutto, il riflesso di quelle macro categorie che inevitabilmente si stratificano nella nostra vita, allo stesso tempo lasciano uno spazio, un angolo insondabile, una nicchia con preciso DNA di creatività.
Allora cosa significa davvero spazio? E possiamo davvero parlare di una dicotomia tra vuoto e pieno? O piuttosto si tratta delle due parti di un tutto?
Per capire meglio di cosa stiamo parlando, forse dovremmo scomodare il design giapponese.
Il “Wa”, così come viene chiamata la giapponesità, fa riferimento allo stile, alla cultura e allo spirito di un popolo, e che supera il tempo e l’individualità del singolo designer.
Una filosofia del Design tutta orientale che si esprime proprio negli spazi vuoti, nelle penombre, nei silenzi, nelle irregolarità e nelle asimmetrie. In altre parole “nella perfezione della più minuta materia, come se questa rappresentasse l’universo intero”, come si legge nel volume “Wa. L’essenza del design giapponese” a cura di Rossella Menegazzo e Stefania Piotti.
A voler andare alla radice di tutto, spesso ci si è chiesti quale sia l’essenza del design. E le risposte sono state e possono essere molteplici.

Il Design è Memoria, è frutto del passato di un popolo. Il design è Cultura, è Tradizione, è la Storia di un Paese, all’interno della quale si intrecciano le singole narrazioni dei suoi abitanti, il Design è il luogo in cui ci si trova, è il suo clima, il suo cibo, la sua musica, la sua letteratura, il Design è Studio, è Ricerca, è Evocazione, è Ispirazione. Il Design è comprensione dell’essenza del processo progettuale e individuazione delle sue principali direttrici, è mettersi in ascolto, è un atto rivoluzionario e pacifico, è Vissuto, è Scrittura, è Spazio e Vuoto, è Stile di vita, è Vita stessa.
E’ quotidianità e fuga, è Arte e Dissacrazione, è aggiungere togliendo, è Ossimoro e Sintesi, è un percorso quanto più personale e globale si possa intraprendere.
Forse, in una parola soltanto, è Identità.

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