Studio Angeletti Ruzza

Studio Angeletti Ruzza presenta il lavoro dei due progettisti, Silvana Angeletti e Daniele Ruzza – compagni e partner nella vita e nel lavoro – per My Home Collection.

Studio Angeletti Ruzza per My Home Collection

I due progettisti membri dell’ADI che danno il nome allo studio di design con sede a Rieti, insegnano Industrial Design e hanno all’attivo numerose partecipazioni e premi in competizioni internazionali di design, tra cui una segnalazione per il Compasso d’oro, 3 premi ADI Design Index, 1 Red Dot Award Communication, 2 Designpreis Nominee, 2 premi Design Plus e 3 premi Good Design.

Collaborano con alcune fra le più importanti realtà industriali italiane nei settori dell’arredo bagno, dell’illuminazione, dell’arredamento e dei complementi d’arredo, oltre che nell’oggettistica per la tavola. Hanno realizzato progetti di interior design per hotel e strutture ricettive. Alcuni loro prodotti fanno parte della collezione permanente del Chicago Athenaeum Museum.

 

Studio Angeletti Ruzza

Intervista a Silvana Angeletti e Daniele Ruzza

Il tema del numero di novembre di Design Lifestyle Magazine è lo spazio e materia: qual è la vostra concezione di questi concetti basilari del design?

Immagina un foglio bianco. Sul foglio vengono tracciati dei segni a matita: questi segni non vengono percepiti mai da soli, ma sempre in relazione al foglio bianco che li contiene. È un tutt’uno, sono collegati.
Lo spazio vuoto intorno è parte della composizione, sono inscindibili.

Questa osservazione vale per tutto, per ogni forma d’arte e d’espressione, dalla fotografia all’architettura, dall’interior design alla progettazione industriale. Cercare un equilibrio o un disequilibrio tra pieno e vuoto, tra l’oggetto e lo spazio che lo contiene è il cuore del lavoro di un progettista.
In questa relazione si esprime gran parte della sua sensibilità.

Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità della ruota. Si plasma l’argilla per farne un recipiente. Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità del recipiente. Si aprono porte e finestre per fare una stanza. Ma è dove non c’è nulla che sta l’utilità della stanza. Così il «c’è» presenta delle opportunità, che il «non c’è» trasforma in utilità.

Lao Zi

La materia è l’anima e la pelle dell’oggetto che abita lo spazio.
Per tornare all’esempio del foglio bianco, se il tratto che traccio sulla carta è fatto con una mina “grassa” avrà un carattere molto diverso da quello di un acquerello. Così per il progettista la materia è lo strumento fondamentale per esprimere il suo racconto. La materia parla ai sensi delle persone, le coinvolge a 360°, è fatta per essere toccata, annusata, ascoltata, assaggiata se si tratta di cibo… non solo guardata.

Come designer oggi ci troviamo a lavorare sempre di più sui “sensi lunghi” come l’olfatto o il tatto piuttosto che con la vista, che è il senso più veloce. Siamo lontani dall’approccio del “costruiamo un’immagine” che debba funzionare per essere guardata. Ecco quindi che il lavoro sulle qualità espressive del materiale diventa l’ambito principale da indagare.

Potreste parlarci più nel dettaglio di MY Home Collection?

MY Home Collection si rivolge ad un pubblico cosmopolita che sceglie il design italiano perché riconosce la sua qualità di pensiero e di produzione.

Per la realizzazione della nuova collezione che abbiamo presentato al Salone del mobile abbiamo coinvolto alcune delle giovani figure più promettenti sul panorama italiano. Ci interessava avere delle voci fresche e diverse tra loro, capaci di apportare al catalogo MY Home Collection un punto di vista personale, proiettato nella contemporaneità. I prodotti realizzati sono tutti “attori protagonisti” intorno ai quali costruire un ambiente e un’atmosfera carichi di identità.

Come avviene il vostro processo creativo e quando un progetto risulta per voi perfetto e pronto per essere realizzato?

Il processo creativo parte sempre da una ricerca che si sviluppa in più direzioni: cerchiamo di capire prima di tutto l’azienda che ci chiede di collaborare o alla quale chiediamo di collaborare e poi esploriamo il mercato di riferimento.
In questo lavoro di ricerca, che ognuno porta avanti autonomamente, entrano tutte le immagini, le sensazioni e gli stimoli che immagazziniamo vivendo. Dopodiché, da questo calderone ribollente escono pensieri e spunti progettuali che cominciamo a condividere.

Questo è un momento difficile, perché capita molto spesso che abbiamo visioni differenti. E allora nascono scontri anche piuttosto “violenti”, dove ognuno cerca di difendere il proprio sentire. Ogni volta però succede che proprio sul più brutto, nello scontro anche feroce, una parola detta dall’altro si insinui e si depositi, portando a un punto di incontro, a una comprensione che prima veniva rifiutata. A quel punto il progetto prende forma, si sviscera, si arricchisce dell’esperienza e della conoscenza dell’altro, fissandosi in un’immagine disegnata sempre in scala 1:1.

Comincia così lo studio delle proporzioni che rappresentano una fase saliente della progettazione. Solo quando il disegno a mano libera in scala reale convince entrambi si passa alla fase del disegno al computer e alla renderizzazione.

Molto spesso realizziamo anche dei modelli in scala, che ci permettono di verificare la validità del progetto. Quando c’è la possibilità, teniamo il progetto fermo per qualche giorno senza più pensarci e torniamo poi a guardarlo con occhi rinnovati.
Se supera questa prova e convince ancora entrambi, allora, quasi sempre, si tratta di un pensiero vincente. Lo presentiamo all’azienda e comincia la seconda fase, quella della condivisione allargata, dove il progetto viene sviscerato ancora da tutti i punti di vista (estetica, funzionalità, produzione, commerciale, marketing). Se supera anche questa fase, viene prototipato.

Lo step della prototipazione è molto importante perché può dar vita all’accettazione del progetto che diventerà prodotto, alla sua messa a punto e quindi allo sviluppo di un altro prototipo, o alla sua morte.

Tradizione e Design: due concetti che si sposano e spesso si contrappongono: in che modo si caratterizza per lo Studio Angeletti Ruzza questo rapporto?

Il nostro lavoro si muove fra tradizione e design, memoria e originalità, ricordo e cambiamento. Non c’è passato, presente o futuro, esiste solo ciò che ne facciamo.

Il designer è come un cuoco che crea nuovi sapori mescolando ingredienti che già esistono in modo originale e personale.
Ai nostri studenti diciamo sempre che il design non è la “cosa strana”, forzatamente diversa.
Il nostro design non ti lascia a bocca aperta, non è emotivo, è piuttosto accogliente, amico, rilassante, con meno cose possibili, espressivo nella ricerca di una sintesi pregna di significati, ma sempre collegabile a qualcosa che le persone conoscono, possono sentire vicino, possono capire.

Lo studio e la ricerca sono alla base del lavoro di ogni designer e con esse la sperimentazione: si può dire che oggi sia ancora così? C’è ancora spazio per la sperimentazione? Il design italiano è ancora sinonimo di eccellenza nel mondo?

Il designer lavora con e per le aziende, è un lavoro corale. La nostra esperienza ci insegna che oggi le aziende hanno estrema difficoltà nel fare investimenti in ricerca e sperimentazione. C’è molta incertezza e poco coraggio, il marketing ormai detta le regole e sono sempre azioni che si basano su una “certezza di numeri”. È innegabile che negli ultimi anni più che mai assistiamo ad un appiattimento delle proposte di design, c’è un allineamento sulle tendenze più forti, da una parte, e sul design istituzionale e perbenista, dall’altra. La crisi economica che stiamo vivendo ormai da troppi anni si rispecchia inevitabilmente anche nel progetto e dimostra i limiti del sistema.

Noi crediamo che siamo di fronte ad un cambiamento epocale. Il design è legato alla società e la società si sta trasformando, le aziende e i designer che sapranno interpretare questi cambiamenti sostanziali potranno continuare a esistere, mentre le altre scompariranno.

Se il design italiano è ancora sinonimo di eccellenza nel mondo: certo, si, lo è ancora, grazie all’alta qualità delle competenze creative, tecniche e produttive. Inoltre esistono aziende italiane capaci di promuovere ancora la sperimentazione e la ricerca, sono poche ma veramente molto ben posizionate nel panorama internazionale.

Cosa significa essere designer oggi?

Difficilissimo rispondere a questa domanda, perché tutto è in via di cambiamento e la parola design ingloba dentro di sé un’enorme quantità di significati. In ogni caso, oggi, un designer deve confrontarsi con problematiche complesse, che includono aspetti tecnologici, economici e sociali… soprattutto etici.

Essere un designer per noi significa avere consapevolezza dei cambiamenti della società, dei nuovi bisogni, saperli intercettare e sottoporre all’attenzione delle aziende perché diventino argomento di progetto e di evoluzione.
È chiaro che il nostro approccio è di tipo tradizionale, nel senso che per noi è indispensabile avere un interlocutore col quale e per il quale sviluppare un nuovo progetto che sarà comunque il frutto dello sforzo comune di molte persone dalle diverse specifiche competenze.

Per noi essere un designer significa conquistare la fiducia delle persone con le quali ci confrontiamo all’interno dell’azienda. Essere credibili, empatici, sensibili e coraggiosi, oltre che umili e veri, è la nostra ricetta per affrontare questo lavoro che amiamo moltissimo, perché ci regala la possibilità di esprimerci creativamente.

Scopri di più sullo Studio Angeletti Ruzza visitando il sito web ufficiale angelettiruzza.it.

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